MIRANDA: SQUID GAME

MIRANDA AVVERTE: La seguente recensione è stata scritta quando Squid Game era ancora priva di doppiaggio in italiano. Per quanto una traduzione possa effettivamente cambiare un’opera, si spera che il lavoro fatto sia all’altezza dell’ottima tradizione del doppiaggio italiano, mantenendo quindi pregi e difetti dell’originale (o, quantomeno, della versione sottotitolata).

Ancora ti fidi degli altri, dopo quello che hai passato?

Oh il-nam

“SQUID GAME”, APICE DEL GENERE: Hunger Games. Una trilogia di romanzi di Suzanne Collins che ha segnato la storia della letteratura di consumo. Un titolo che è diventato, forse grazie anche ai celeberrimi film, sinonimo di un “sottogenere” nuovo, la cui principale caratteristica è che muovere la trama spetta alla competizione mortale tra vari personaggi in un mondo solitamente distopico e con qualche elemento fantascientifico. Dramma, azione e tensione sono marchi di fabbrica imprescindibili per un “hunger game“.

Squid Game è una serie tv sudcoreana che rientra in questa categoria (il titolo stesso mostra, volente o nolente, un legame semantico). Infatti, l’intero intreccio si potrebbe riassumere così: un ludopatico fortemente indebitato finisce per partecipare ad un letale tutti contro tutti per cui in palio ci sono 45,6 miliardi di won (33 milioni di euro). Inoltre, diversi sono i topoi del sottogenere che la serie sfrutta abilmente (il riscatto sociale del protagonista, l’aristocrazia capitalistica che finanzia i giochi perversi, la lotta fratricida), ma non è affatto una storia “già vista”.

Anzitutto, il mondo in cui si ambientano le vicende è il nostro. Non ci sono elementi futuristici. La realtà storica vissuta dai personaggi è, e vuole essere, il più possibile vicina alla nostra. Per questo la brutalità delle sfide, la crudeltà della vicenda e le lacrime degli attori travolgono lo spettatore. Al di là di qualche idiosincrasia coreana nella regia e nella recitazione, ogni altro aspetto della serie è stato attentamente curato per ingigantire le emozioni provate durante la visione. Il pericolo è costante, non viene mai dimenticato, perché proposto episodio dopo episodio, minuto dopo minuto, dagli organizzatori del gioco e dai giocatori. La curiosità macabra e ansiogena con cui lo spettatore attende il prossimo massacro è dovuta alla struttura particolarissima del “torneo”: ogni giorno i partecipanti si sfidano per vincere un gioco per bambini puntualmente rivisitato per essere violento e spietato. Ecco che l’innocenza dei giochi si mescola alla mostruosità degli eventi creando il mix perfetto, perturbante e sconvolgente, per potenziare qualsiasi scelta dei personaggi. Ogni atto anche solo parzialmente malevolo diventa raccapricciante, mentre il minimo gesto d’affetto scioglie il cuore. Squid Game è l’apice degli “hunger games”. Dovremmo cambiare nome al genere?

“SQUID GAME”, CRITICA SOCIALE: A volte può essere scontata. In ogni libro, film o canzone c’è sempre almeno un po’ di critica sociale. Tuttavia, in Squid Game lo spettatore è obbligato a riflettere costantemente sulla struttura socio-economica in cui vive. L’effetto è, di nuovo, perturbante. Il gioco appare riflettere la realtà, senza troppi veli, e purtroppo l’immagine che palesa è raccapricciante. Il capitalismo, soprattutto asiatico, e i suoi risvolti culturali sono oggetto di un’analisi approfondita (dal ruolo riservato agli anziani all’immoralità di molte attività commerciali, dall’espansione del mercato nero alla violenza di genere). Anche l’Occidente è, ovviamente, preso di mira. Le riflessioni sulla religione cristiana, specie cattolica, e il suo effetto sulla società sudcoreana sono espresse in piccoli ed efficaci interventi riproposti senza troppa insistenza nel corso dell’opera. Eppure, nonostante la critica aspra e spietata nei confronti di chiunque e qualsiasi cosa, Squid Game lascia, specie nel finale, un barlume di speranza. Niente è visto in modo univoco e stereotipato. Niente è semplice, così come in Squid Game, così nella realtà.

“SQUID GAME”, GIOCO INTRIGANTE: La ragione principale dell’efficacia della critica sociale della serie sta nel gioco di specchi che essa riesce a creare secondo due assi: gioco-vita, personaggi-spettatori. Il primo è un parallelismo metaforico, che deve molto al contrappasso dantesco. Nelle varie sfide i personaggi vengono messi alla prova e, a seconda di pregi e difetti, di strategie e personalità, ottengono risultati più o meno drammatici, ma sempre “poetici”. Tuttavia, il binomio gioco-vita è rappresentato anche e soprattutto dal confronto continuo e filosofico tra la competizione socio-economica e la lotta per la sopravvivenza, viste come un tutt’uno da Oh Il-Nam e dal protagonista, ma con esiti totalmente opposti.

I personaggi sono scritti da ottimi sceneggiatori, che sanno come creare empatia nel pubblico. Ad ogni modo, l’asse personaggi-spettatori non ha a che fare tanto con questo aspetto, poiché è molto più sconvolgente la seguente operazione: paragonare i miliardari che assistono in diretta ai massacri dello Squid Game, personaggi immediatamente percepiti come ripugnanti, agli spettatori reali, a chi fruisce della serie tv, mediante un’accorta intuizione sulla psicologia del consumatore medio. Infatti, come i miliardari che tanto odiamo, la cui identità è nascosta da maschere animalesche, anche noi attendiamo la prossima prova, la prossima puntata, puntiamo su questo o quel personaggio, godiamo dei colpi di scena continui, e, se lo facciamo sul web, ci avviciniamo ancor di più alle figure mostruose dei suddetti aristocratici. Dopotutto, c’è qualcosa che ci maschera meglio dei social network?

Proporre queste due direttive alla trama e alla riflessione su di essa necessita di coraggio e intelligenza, entrambe qualità evidenti dell’opera.

“SQUID GAME”, FUTURO INCERTO: Dunque, quali sono i problemi di Squid Game? Bisogna premettere che non sono molti. Non sono nemmeno importanti. Una serie che riesce a coniugare il macabro giustizialismo di Saw e l’azione di Hunger Games ha compiuto l’incredibile, e nel farlo ha inevitabilmente mostrato il fianco qua e là a piccoli errori. La narrazione, ad essere sinceri, accelera e rallenta bruscamente nello sviluppare i rapporti tra personaggi, nel far compiere loro delle scelte. Questo è dovuto in parte alla natura dei giochi, per cui il tempo è poco e le scelte devono essere spesso drastiche, ma ciò non toglie che queste risultino di tanto in tanto innaturali o poco intuitive. La ricerca del colpo di scena ad effetto può aver aggravato tale difetto. Tuttavia, il più grande problema, forse sintomo di ciò di cui si è appena discusso, è il finale. L’opera dichiara di voler proseguire, ma lo fa controvoglia. Per proseguire con una seconda stagione, il protagonista sembra perdere per un attimo il senno e i dubbi sono consistenti. Dovremo aspettarci una nuova edizione degli Squid Game con il protagonista tra i partecipanti? Oppure l’attenzione si sposterà fuori dal gioco? In entrambi i casi la partita si gioca sul filo del rasoio.

FOTO DI JON TYSON, DA UNSPLASH.COM

CONCLUSIONI: Nonostante le perplessità sul futuro della serie, che obbligano alla prudenza il recensore, Squid Game si è rivelata essere una serie degna del fenomeno mondiale da essa stessa scatenato. Preso atto dell’attuale crisi economica e creativa della piattaforma di streaming su cui viene distribuita, l’opera potrebbe essere considerata il mirabile canto del cigno di Netflix, oppure, al contrario, la prova che tra le sue produzioni si nascondono, talvolta in bella vista, dei capolavori che la manterranno sempre viva. È opinabile.

Invece, pare oggettivo che Squid Game abbia cambiato drasticamente lo scenario mondiale delle serie tv.

IDENTIKIT DELLA SERIE:

QUALITÀ: 92%

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