FUTURUS SUM

N.B.: Non è necessario conoscere il latino per poter leggere questo articolo.

La perifrastica attiva è un costrutto latino particolarmente noto per le sue incursioni nelle versioni dei compiti in classe di generazioni e generazioni di sventurati studenti liceali, costretti a sfogliare disperatamente per ore le pagine di un dizionario consumate dallo sfregamento della punta dell’indice, dito cui è assegnato l’ingrato compito di scorrere forsennatamente tra le parole alla ricerca di una traduzione che abbia una parvenza di senso logico – molto spesso senza alcun successo.

A questo punto, è chiaro che ci sia una probabilità incredibilmente vicina al 100% che:

  1. chiunque abbia studiato latino smetta di leggere questo articolo per via di ricordi traumatici;
  2. chiunque non abbia studiato latino smetta di leggere questo articolo, non avendo comprensibilmente alcuna intenzione di farlo adesso, a maggior ragione se si tratta di cercare di capire qualcosa con un nome assolutamente poco invitante come “perifrastica attiva”.

Ciononostante proseguirò in quest’impresa, prendendo spunto dai preziosi insegnamenti che mi sono stati trasmessi da certi professori in questi primi mesi di università e che finalmente ho l’occasione di applicare nel concreto:

“Se hai il minimo sospetto che chi ti ascolta/legge potrebbe essere disinteressato/non capire quello che dici, tu fai finta di niente.”


(assioma fondamentale dell’insegnamento universitario)

Giustificazioni a parte, il motivo per cui la perifrastica attiva è un costrutto maledettamente difficile da tradurre è che, come spesso accade anche nelle lingue straniere tuttora utilizzate, esprime un concetto che in italiano non può essere reso se non con una circonlocuzione, con una serie più o meno lunga di parole messe in fila a sopperire alla mancanza di una struttura verbale adeguata il cui significato coincida in toto con l’espressione latina. Nello specifico, la perifrastica attiva può assumere tre sfumature di senso distinte; tutte e tre riguardano il futuro, ma ognuna di esse si caratterizza in maniera specifica, con una diversa tonalità di colore: predestinazione, imminenza, intenzionalità.

Esempi esplicativi

Erraturus sum.

  • “Sono destinato a sbagliare.” [predestinazione]
  • “Sono sul punto di sbagliare.” [imminenza]
  • “Sono convinto di voler sbagliare.” [intenzionalità]
Photo by Javier Allegue Barros on Unsplash

PREDESTINAZIONE, Pantón 2411 C (“Sono destinato a…”)

Giulia Vendrametto [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)%5D

La predestinazione è di un verde scurissimo come le fronde di una foresta impenetrabile, i cui alberi dal tronco massiccio e imponente si allungano con le loro terminazioni nodose verso il cielo a ricoprirlo con un ricamo di rami fittamente intrecciantisi, che soffoca il sole e costringe i suoi raggi a sgusciare a fatica attraverso le fessure interstiziali finché qualche goccia di luce non raggiunge il suolo. «Morituri (“coloro che sono destinati a morire”) te salutant», gridavano con voce roca i gladiatori all’imperatore prima di iniziare a combattere tra loro, consapevoli che ogni colpo inferto e subito avrebbe aperto ferite difficilmente rimarginabili, squarci nella carne da cui sarebbe fuoriuscito a fiotti sangue misto a soffio vitale. La predestinazione è un sentiero già tracciato: non è necessariamente rettilineo, ma ha le curve al posto giusto, nel punto in cui ci si aspetta ed è inevitabile che ci siano. E soprattutto, non è neppure detto che a scavare il solco in cui è ineluttabile che fluisca la nostra esistenza sia un’entità altra: spesso, anzi, si scivola più o meno consapevolmente in un meccanismo perverso e velenoso di autoconvincimento che l’idea che le cose non possono fare altro che andare in una certa direzione, prendere una certa piega, ripetersi sempre uguali nella loro monotonia avvilente o nella loro incontrollabilità schizofrenica, e che è inutile cercare di opporre resistenza. Secondo quest’ottica tutto è regolato da un rigido determinismo che fa sì che accada ciò che deve accadere, perché ad ogni reazione corrisponde una determinata reazione perfettamente inquadrabile entro i termini di uno studio analitico della realtà; in questo senso, un approccio alla vita che interpreti la predestinazione come motore propulsivo del concatenarsi degli avvenimenti risulta essere giustificazionista e coincidente con un generalizzato atteggiamento passivo e remissivo, un piegarsi supinamente al corso degli eventi.

IMMINENZA, Pantón 351 C (“Sono sul punto di…”)

Giulia Vendrametto [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)%5D

L’imminenza è di un delicato verde salvia, il verde lieve della trepida attesa di qualcosa che si sta per compiere. L’istante immediatamente precedente la realizzazione di una qualsiasi configurazione di situazioni, che sia essa fedele alle aspettative o che le tradisca, può essere più o meno angoscioso, più o meno fiducioso, più o meno rassegnato, più o meno adrenalinico, ma è sempre rivestito di uno strato sottile e traslucido che manda bagliori di un verde leggero, sulla cui superficie galleggiano le infinite possibilità di attualizzazione di una realtà in potenza. Fino a un attimo prima le cose sono in un certo modo, un attimo dopo non lo sono più. In una transizione della durata di una frazione di secondo può accadere qualsiasi cosa: la mutevolezza del mondo non è nient’altro che un susseguirsi incessante di variazioni qualitative che avvengono in un intervallo temporale infinitesimale. È nel momento in cui una situazione si concretizza che si carica di colore, e il timido verde dell’imminenza diviene più vivo, intenso, acceso; ma si tratta di un passaggio di sfumatura quasi impercettibile, che viene immediatamente depotenziato dal trasformarsi di quella stessa realtà apparentemente definita in un nuovo momento-appena-prima. Nella sua opera De rerum natura (“La natura delle cose”), Lucrezio, autore latino del I secolo a.C., parla di clinamen, termine con cui indica il movimento degli atomi, che deviano in maniera del tutto casuale modificando la propria traiettoria inaspettatamente, senza sottostare ad alcuno schematismo fisico. Da un punto di vista etico, il clinamen ha un suo corrispettivo nel libero arbitrio, cioè nella possibilità per l’uomo di plasmare la propria esistenza a immagine e somiglianza della propria volontà:

“Infine, se sempre ogni movimento è concatenato
e sempre il nuovo nasce dal precedente con ordine certo, né i primi principi deviando producono qualche inizio di movimento che rompa i decreti del fato, sì che causa non segua causa da tempo infinito, donde proviene ai viventi sulla terra questa libera volontà, donde deriva, dico, questa volontà strappata ai fati,
per cui procediamo dove il piacere guida ognuno di noi e parimenti deviamo i nostri movimenti, non in un tempo determinato, né in un determinato punto dello spazio, ma quando la mente di per sé ci ha spinti? Difatti senza dubbio in ognuno dà principio a tali azioni la sua propria volontà, e di qui i movimenti si diramano per le membra.

(Lucrezio, De rerum natura, II, 251 e seguenti)

INTENZIONALITÀ, Pantón 2423 C (“Sono intenzionato a…”)

Giulia Vendrametto [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)%5D

Se l’imminenza è l’espressione teorica del clinamen, l’intenzionalità è la sua applicazione pratica. Il verde di cui si colora è energico e squillante, un verde pieno e vivo: se lo si sceglie per tracciare anche una singola pennellata su una tela cattura inevitabilmente l’attenzione. È per questo che “lo si sceglie”: il suo impiego non è mai casuale, ma sempre frutto di un concatenarsi, avventato o ponderato, di contributi ad una discussione serratissima che avviene continuamente all’interno di ognuno di noi, uno scambio mutuale di pareri, obiezioni, domande, confutazioni, perplessità tra i frammenti della nostra coscienza, che sono perennemente alla ricerca spasmodica di un equilibrio che permetta all’intera struttura di vacillare senza frantumarsi qualora venisse investita dalla violenza di un tornado interiore, come può essere ad esempio la responsabilità di dover prendere una decisione. L’intenzionalità è appunto il riordinamento, seppur temporaneo, del caos che regna sovrano ovunque, dentro e fuori; è imprimere una direzione precisa e voluta al corso degli eventi e assumersi l’onere di condurre la propria esistenza con consapevolezza e non in maniera passiva. Del resto, non si può in alcun modo evitare di scegliere, non foss’altro perché “non scegliere è scegliere di subire”, come cantano Lo stato sociale, a cui si è notoriamente ispirato un tale di nome Søren e di cognome Kierkegaard, filosofo di professione:

“[…] quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la propria personalità tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa fermare o interrompere la vita personale, si è in errore. La personalità, già prima di scegliere, è interessata alla scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e decidono in essa le oscure potenze.”


(S. Kierkegaard, Aut-aut)


Le scelte sono necessarie, e sono in definitiva l’essenza stessa del tempo futuro (oltre che dell’ultimo significato associabile alla perifrastica attiva, ma è chiaro che non è questo il punto). Mi piace pensare che esista una sorta di “grammatica della vita” attraverso le cui regole scomponiamo la realtà e la passiamo al vaglio, cercando di districarla e di intuirne anche solo vagamente il senso; e mi piace pensare che, nella metaforica (ma tutt’altro che rara) eventualità in cui ci si ritrovi a dover “tradurre” in una decisione una qualche conformazione assunta dal mondo circostante, che ci impone di continuo di cambiare, di modificarci, di assecondare il suo turbinio volteggiando a nostra volta – ecco, mi piace pensare che, dopo attente riflessioni su quale potrebbe essere il significato più appropriato da associare alle nostre azioni, si propenda per il verde deciso e coraggioso di un’intenzione fiduciosa e autentica.

Faber est suae quisque fortunae.

Ciascuno è artefice del proprio destino.

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