È un Festival di successo per ascolti, critica e per quel clima di festa che tanto desideravamo. L’Ama-quater, a questo punto, è quasi inevitabile.
“Apri tutte le porte e fai entrare il sole”. Non è questo il testo della canzone vincitrice di Sanremo 2022, ma è certamente quello che meglio ne riassume lo spirito di allegria e festa. Dopo un’edizione con platea deserta e applausi registrati, finalmente l’Ariston ha potuto riaccogliere il pubblico a piena capienza e il festival della canzone italiana ha goduto di quel clima di partecipazione e spensieratezza che ognuno di noi non vedeva l’ora di vivere: cinque serate lontani dalle polemiche e dalle discussioni generate dalla pandemia, che è sempre presente nella nostra società, ma a Sanremo è rimasta sullo sfondo e trattata con la giusta leggerezza. Qualche divertente battuta in merito l’hanno regalata Fiorello, presentatosi come al solito in splendida forma durante la prima sera, e il grande Checco Zalone, alla sua prima volta sul palco dell’Ariston. Il suo sketch sulla figura del virologo ha avuto un successo immediato, così come la canzone “Poco ricco”. Dopo aver atteso anni per questo suo debutto a Sanremo, speriamo di poterlo rivedere presto per apprezzarne ancor di più il talento comico mai banale e con una cornice sempre riflessiva.
Si spiega anche così il grande successo riscontrato sia in tv che nel web: la media delle cinque serate è di più di 11 milioni di spettatori e il 58% di share, con la finale che ha raggiunto addirittura il 65%. Numeri che dal 2000 ad oggi non erano mai stati registrati. Social sempre più attivi grazie alla spassosissima novità del Fantasanremo, da gestire però sempre con la giusta misura, e dirette streaming che hanno migliorato i numeri già notevoli dello scorso anno. Il merito è di un cast tra i più eterogenei mai ospitati a Sanremo. Basta anche solo limitarsi al podio per evidenziare questo aspetto: al primo posto Blanco, quasi diciottenne, con Mahmood e poi a seguire Elisa e l’eterno fanciullino Gianni Morandi. Tre generazioni diverse e tutte di indiscusso successo. Altro aspetto da considerare è la tipologia di canzoni in gara, che risponde al desiderio di spensieratezza di cui abbiamo parlato nell’apertura dell’articolo. Questo Sanremo fa ballare molto ed è facile pensare che vi sia più di un brano destinato a fungere da tormentone nei prossimi mesi. Penso ai vari “Dove si balla” di Dargen D’Amico, “Ciao ciao” de La Rappresentante di lista, “Farfalle” di Sangiovanni e “Chimica” di Ditonellapiaga e Rettore.
Se da un lato si guadagna nel coinvolgimento, e di questi tempi va più che bene, dall’altro bisogna comunque riscontrare la mancanza, tra quelli in gara, di un testo degno di nota. Non c’è alcun brano del livello di “Eden” di Rancore o “La genesi del tuo colore” di Irama, senza andare troppo indietro nel tempo. Il brano stesso di Irama di
quest’anno, dal titolo “Ovunque sarai”, è assai intenso, molto piacevole da ascoltare e lui rimane uno degli interpreti più interessanti e talentuosi del nostro panorama musicale, ma le parole che si ascoltano non rappresentano più di tanto una novità. Forse soltanto “Lettera di là dal mare” di Massimo Ranieri, che affronta il tema dell’immigrazione, e la poesia d’amore “Inverno dei fiori” di Michele Bravi possono raggiungere la sufficienza piena da questo punto di vista. È stato abbastanza sorprendente, secondo me, vedere assegnato il premio Sergio Bardotti a Fabrizio Moro, con una canzone che non aggiunge e non toglie nulla al repertorio dell’artista in questione. A Massimo Ranieri è invece andato il premio della critica “Mia Martini”, che mi aspettavo indirizzato a Giovanni Truppi per il brano impegnativo, e forse proprio per questo non sufficientemente apprezzato, dal titolo “Tuo padre, mia madre, Lucia”. Che dire, invece, dei vincitori Mahmood e Blanco? Prima di tutto, mi fa piacere che il risultato del televoto non sia stato ribaltato dalle altre giurie del festival. Le canzoni sono patrimonio del pubblico e se oltre il 50% dei votanti durante lo scontro finale e quasi il 25% durante la gara ha deciso di premiarli, è giusto così.
Mi sarebbe dispiaciuto molto se si fosse ripresentato l’episodio del 2019, quando Ultimo, in largo vantaggio grazie al televoto, fu scalzato proprio da Mahmood a causa di una votazione sorprendentemente numerosa da parte delle giurie sanremesi. Apprezzo molto l’incrocio delle voci dei due artisti nel ritornello della canzone vincitrice di quest’anno che, citando il titolo, mi ha fatto venire i brividi e riconosco la qualità canora degli interpreti. In prospettiva Eurovision, tuttavia, è fuori da ogni dubbio che questo brano non avvicinerà nemmeno lontanamente la potenza e il carisma di “Zitti e buoni” dei Måneskin. Le canzoni più intime come “Brividi” si possono gradire comprendendone il testo e l’interpretazione, ma all’Eurovision di certo non si guardano questi aspetti. È fondamentale, piuttosto, saper coinvolgere il più possibile il pubblico con la propria esibizione e cercare di proporre nella canzone aspetti che possano “accomunare” più paesi possibile. Ecco, quindi, perché quel “Ciao ciao” de La Rappresentante di lista unito al balletto che ne accompagna il ritornello, secondo me, sarebbe stato più idoneo. Ma, ripeto, nulla in contrario al verdetto finale e, anzi, faccio un in bocca al lupo di cuore a Blanco e Mahmood per il prosieguo dei rispettivi percorsi artistici. Prima di analizzare i vari momenti delle serate, concedetemi di spendere due parole per un artista che a 77 anni è ancora in grandissima forma, pienamente al passo con i tempi di oggi dei social network e fonte inesauribile di allegria ad ogni sua apparizione su un
palcoscenico. Sto parlando, chiaramente, di Gianni Morandi. La sua “Apri tutte le porte” è un cocktail di energia e sorrisi da gustare più e più volte e rivolgo un sentito ringraziamento a Jovanotti per averla composta per lui. Non ho dubbi sul fatto che il vincitore del “premio simpatia” sia proprio lui: il grande Gianni.
Veniamo ora ai vari momenti delle serate. Partiamo dalle cover: ammetto di essere stato tra quelli che all’inizio, di fronte all’annuncio di canzoni straniere, avevano storto il naso. Possibile che con tutti i capolavori musicali italiani che ci sono andiamo ad attingere dal repertorio straniero? Ma sono stato piacevolmente smentito dalle interpretazioni, tutte di eccellente livello. Questa scelta, poi, ha strizzato l’occhio ad eventuali ospiti stranieri che il prossimo anno, quando speriamo la situazione Covid lo permetterà, potranno magari duettare con gli artisti in gara: sarebbe un Sanremo veramente interessante. Sul fronte degli ospiti, il miglior intervento musicale non solo di questo festival, ma anche di molti altri precedenti, è stato quello regalatoci da Cesare Cremonini: un medley di successi impreziosito da una scenografia da brividi e dalla sua coinvolgente presenza scenica. Mi ha emozionato, poi, l’intervento di Roberto Saviano per i trent’anni delle stragi di Capaci e via d’Amelio. Come egli stesso dice nel monologo, il verbo “ricordare” per gli antichi aveva il significato di “rimettere nel cuore”, ed è proprio quello che ciascuno di noi è invitato a fare quando ricorre la memoria di eventi come questi, che fanno parte della storia del nostro Paese. Al centro dell’intervento di Saviano la parola “coraggio”, che ruota attorno alla figura dei giudici Falcone e Borsellino, per la loro scelta di prendere posizione contro la mafia, e a quella di Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia italiana. L’esempio consegnatoci da queste tre figure è quello di chi, di fronte alla possibilità di scegliere se prendere posizione per cambiare le cose o lasciar perdere e rimanere complice di chi agisce alle spalle della giustizia, ha scelto la prima strada. Il nostro dovere è quello di onorare la loro memoria, sempre.
Decisamente meno efficace è stato il monologo di Lorena Cesarini, emozionata oltre misura, come se avesse ricevuto l’invito a Sanremo soltanto pochi giorni prima. Ne ha risentito inevitabilmente l’intervento a tema “haters”, ed è un vero peccato, dal momento che l’odio espresso via social è sempre più diffuso e va il più possibile denunciato e contrastato. Davvero piacevole, infine, la presenza di Maria Chiara Giannetta, protagonista sia in “Don Matteo” che nella recente fiction “Blanca”. Il dialogo con Maurizio Lastrico strutturato con botta e risposta tratti da testi di canzoni famose italiane è risultato efficace e ha certamente contribuito alla curiosità di andare ad approfondire alcuni brani magari meno conosciuti al pubblico giovane. L’intervento, poi, con alcune persone non vedenti, è stato un grande esempio di vita e di amicizia sincera.
Insomma, come potete capire, è stato un festival veramente di successo per eterogeneità di generi e presenze musicali e arricchito da interventi di ospiti di grande livello artistico e professionale. All’artefice di questo capolavoro, il grande Amadeus, va il mio più sincero e sentito “Grazie”. La domanda adesso è la seguente: fare meglio di così si può?