Il 12 giugno saremo chiamati a votare per il referendum sulla giustizia e a scegliere su 5 importanti quesiti. È quindi l’occasione ideale per riflettere sullo stato della democrazia italiana e sul problema della rappresentanza.
Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, tramite il quale il popolo stesso è chiamato ad esprimersi, senza la mediazione dei suoi rappresentanti politici. Ne esistono di tipi diversi: il referendum abrogativo, che può soltanto abrogare leggi in modo parziale o totale (articolo 75 della Costituzione); il referendum costituzionale, previsto qualora si debba modificare la stessa Costituzione (articolo 138); i referendum sulla modifica delle circoscrizioni territoriali (articolo 132); i referendum regionali (articolo 121 e 123), comunali e provinciali (articolo 8 del Testo Unico Enti Locali).
Fin da subito si può notare la scarsa centralità di questo strumento nella vita politica italiana: per esempio, attraverso di essi non si possono proporre leggi, come succede invece in altri Stati. L’ordinamento politico italiano, infatti, si basa sull’elezione da parte del popolo dei propri rappresentanti, e si può considerare il referendum come un semplice strumento di supporto. A questo punto, ha senso chiedersi quanto l’implementazione di metodi di democrazia diretta possa essere utile.

Lo stesso referendum sulla giustizia, a mio parere, è un perfetto esempio di quanto la democrazia rappresentativa sia necessaria. Personalmente, leggendo i quesiti proposti non ho potuto fare a meno di sentirmi profondamente incompetente, e penso di non essere la sola. In essi si parla di tematiche e dinamiche complesse, a mio parere al di fuori della portata del cittadino più informato. Ciò evidenzia un grande svantaggio della democrazia diretta: essa presuppone che tutti i cittadini abbiano la competenza e l’esperienza per prendere decisioni estremamente tecniche, quali sono quelle che riguardano l’amministrazione di uno Stato, e a mio parere ciò è umanamente impossibile, per quanto essi siano volenterosi. La democrazia rappresentativa permette di delegare questo compito a persone preparate ed esperte, che hanno il tempo e il dovere di capire in profondità e analizzare ogni materia che viene a loro sottoposta, e decidere in modo consapevole e ponderato.
In fondo, quindi, il metodo rappresentativo permette di semplificare il processo decisionale, creando una classe di esperti in materia che possano districarsi tra le questioni più spinose. Tuttavia, è innegabile che in Italia sia presente un problema di partecipazione politica. Negli ultimi anni si può notare un costante calo dell’affluenza degli italiani al voto; nelle elezioni per il Parlamento essa ha continuato a diminuire dal 2006 fino alle ultime elezioni del 2018, arrivando a circa il 72%. Ciò significa che un italiano su quattro non ha espresso il proprio parere nella formazione del più importante organo di rappresentanza politica in Italia. Inoltre, nell’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes si è registrato un livello di fiducia bassissimo nelle istituzioni. Il Presidente della Repubblica raccoglie un consenso del 56%, ma lo stesso non può dirsi del Parlamento e dell’esecutivo, che raggiungono gli agghiaccianti livelli del 25% e del 35%. Una larga maggioranza degli italiani quindi non si fida dello Stato e degli organi che essa stessa ha eletto, e non si sente da essi rappresentata. Questo fatto è incredibilmente grave, poichè in contrasto con i principi stessi su cui si basa una repubblica democratica, e andrebbe trattato come una vera e propria emergenza politica.

Una soluzione più interessante dell’implementazione di metodi di democrazia diretta potrebbe essere incorporarne i principi cardine: la cittadinanza come diretta responsabile dello Stato, la partecipazione di ognuno e la presenza del dibattito politico in ogni ambito di vita. La politica impatta ogni ambito della nostra vita in comunità, ed è quindi doveroso interessarsene e parteciparvi nel modo più consapevole possibile, attraverso un’informazione approfondita ed accurata. Di conseguenza, è necessario migliorare la proposta dell’educazione civica nelle scuole e considerarla non come una materia secondaria, ma come base della formazione di un buon cittadino al pari della matematica e dell’italiano. Conoscere il proprio Stato, imparare ad informarsi, a distinguere le fonti, a discutere e a confrontarsi con opinioni diverse sono competenze fondamentali per ogni adulto e dovrebbero essere trattate come tali e insegnate a tutti. La partecipazione politica, attraverso il voto e la candidatura, dovrebbe essere incoraggiata a tutte le età, anche attraverso una migliore comunicazione dello Stato ai propri cittadini. In questo modo, i cittadini potranno prendere pienamente il controllo del governo della comunità e realizzare pienamente l’articolo 1 della Costituzione, “la sovranità appartiene al popolo”.
Foto in copertina: Quirinale.it, attribuzione, Wikimedia Commons
Interessante articolo. Tra i vari problemi elencati a mio modesto parere ne esiste un altro; prendo spunto dalla sua affermazione “La democrazia rappresentativa permette di delegare questo compito a persone preparate ed esperte, che hanno il tempo e il dovere di capire in profondità e analizzare ogni materia che viene a loro sottoposta, e decidere in modo consapevole e ponderato”. Le persone preparate ed esperte sono pochissime in quanto il sistema elettorale vigente permette ai partiti di scegliere chi deve essere eletto parlamentare; non sono i cittadini ad eleggere i parlamentari, ma di fatto sono i partiti a nominarli. Ed i partiti non scelgono i migliori.
"Mi piace""Mi piace"