L’educazione al di là del mare

Quando a 6 anni varcai la porta di vetro con le cornici smaltate di un verde forte, fitto come le foreste, e tappezzata di adesivi colorati, della scuola elementare più frequentata della mia piccola città, avvertii un vortice di sensazioni che mi stravolse lo stomaco. Mia madre disse che non avrei dovuto avere paura, sarei tornata a casa con tante storie nuove da raccontarle nel pomeriggio.

Quel giorno iniziai a salire i primi gradini della scala dell’istruzione, tenendo la mano ad altri 24 bambini con la pelle levigata e pallida come la porcellana. Fu solo in terza elementare quando giunse nella nostra aula Kaleb, un bambino come noi, ma di origini straniere e con tanti ricci scuri che cadevano sulla fronte solo di un tono più chiara, che mi domandai se le scuole dall’altra parte del mondo avessero lo stesso colore delle pareti e se le carote della mensa potessero avere il medesimo sapore anche in quel continente dove, come la maestra ci aveva spiegato, il clima era arido e le temperature elevate. Egli ci raccontò, in un italiano dissimile dal mio, il giorno meraviglioso in cui aveva incontrato i suoi nuovi genitori adottivi: essi lo avevano raccolto da terra allorquando era caduto ferendosi alla gamba con un sasso, a causa dell’ingombrante secchio straboccante di acqua del pozzo, che gli aveva fatto perdere la stabilità. Kaleb non sapeva né leggere né scrivere, non nella sua lingua madre né tanto meno in italiano, ma a volte dalle sue labbra prendevano il volo come farfalle racconti affascinanti di giornate caldissime e animali esotici.

Quel bambino è partito, partecipando a una corsa ad ostacoli e si è unito a questa nostra pista più o meno pianeggiante solo a dieci anni, mentre i bambini del suo villaggio in Africa proseguono scavalcando blocchi sempre più imponenti. Secondo i dati dell’UNICEF, Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, la cui missione è quella di contribuire alla sopravvivenza, alla protezione e allo sviluppo delle potenzialità di ogni bambino e bambina, con speciale cura per quelli più fragili e vulnerabili, sono ad oggi 617 milioni i bambini e adolescenti in tutto il mondo che non sono in grado di raggiungere livelli minimi di competenza in lettura e matematica.

In diverse zone dell’Africa, ma anche in molteplici altre aree del nostro pianeta, 1 bambino su 5 non può accedere all’istruzione a causa delle svantaggiose condizioni socioeconomiche, delle politiche adottate dal suo governo e dei conflitti in atto, che marcano indelebilmente il decorso della sua vita come quella di altri milioni di esseri umani. Altre condizioni, come la povertà, la disabilità, l’appartenenza a una minoranza etnica o il semplice fatto di essere donna, sovente sembrano giustificare il fatto di essere lasciati indietro, soprattutto nell’ammissione alla minima forma di formazione scolastica.

L’istruzione non è un capriccio, è bensì la forma più elementare di accrescimento personale, e costituzione dell’eccezionalità di ogni singolo individuo. Secondo Treccani: “L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo, ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, collegi, centri educativi ecc.)”. L’educazione si propone di garantire la trasmissione a soggetti in età infantile e in fase di apprendimento, di forme di costume riconosciute universalmente dal contesto sociale di appartenenza. Essa però concorre solo in minima parte alla creazione di una struttura individuale solida, che ogni singolo essere umano scalfisce secondo il proprio istinto naturale, delineando i contorni vagamente sbiaditi della propria personale unicità.

Apprendere la stesura di un testo, calcolare le entrate e le uscite monetarie, conoscere l’universo che ci circonda nelle sue innumerevoli proiezioni, permette all’essere umano di esprimersi e tracciare le strade della propria esistenza in maniera consapevole e controllata, impugnando la stessa matita con cui abbiamo iniziato ad accennare le lettere del nostro nome da piccoli. L’istruzione si definisce base costituente anche nella quotidianità: nel fornirci gli strumenti necessari per poter raggiungere una determinata stabilità economica, intessere rapporti interpersonali, sviluppare capacità sociali, sciogliere i nodi delle mille avversità che ci possono tenere i polsi legati, riconoscere i rischi e i pericoli in grado di intaccare la nostra salute psico-fisica.

Negare questa immensa opportunità a un bambino, di qualunque genere, età, provenienza, nazionalità, religione, qualunque sia la condizione economica e sociale della sua famiglia o della comunità a cui appartiene, esprime secondo me la chiara volontà di chiudere la strada principale che porta al futuro della persona, forzandolo a cercare scorciatoie, vie alternative dissestate e intrise di nebbia, la cui direzione non è notificata.

La scuola non è soltanto un percorso, è un luogo sicuro in cui poter trascorrere parte della propria giornata, dedicandosi unicamente alla propria crescita personale e formativa, un posto, attraversate le cui porte, si annullano gran parte delle responsabilità di cui i bambini potrebbero essere stati caricati prematuramente. Essa è la chiave del pensiero critico, del successo e dell’autorealizzazione personale, permette all’individuo di inserirsi correttamente, senza mai annullarsi nell’individualità, in un gruppo sociale.

Sostenere UNICEF e altri enti no profit affini è il concreto aiuto con cui possiamo supportare la costruzione e l’allestimento di edifici e luoghi idonei ad accogliere studenti, incentivare la partecipazione di insegnanti qualificati a progetti educativi, garantire ideali condizioni morali, di rispetto e di integrazione nonché favorire l’aderenza a norme igienico-sanitarie nell’ottica di proteggere l’individuo a 360 gradi. È possibile contribuire attraverso una donazione monetaria, partecipando attivamente a iniziative di volontariato recandosi direttamente presso le loro case, oppure tramite l’adozione a distanza con cui si sostiene l’attenzione all’educazione e alla cura del singolo bambino.

Vorrei che ogni singolo bambino possa fiorire nel suo giardino, senza dover essere necessariamente trapiantato altrove perché la sua casa non gli garantisce le pari opportunità educative dei suoi coetanei. Desidererei che Kaleb possa un giorno tornare nella sua terra calda e ritrovare un villaggio in cui i bambini, come lo era lui una volta, inciampano sui sassi solo perché corrono troppo forte nel cortile della loro scuola durante la pausa pranzo.

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