OBIEZIONE VOSTRO ONORE: la legge 194/78 garantisce il pieno esercizio di un diritto?

Premessa:

Oggi più che mai c’è bisogno di sentir parlare di aborto, obiezione di coscienza e di altri limiti imposti ad una donna nel decidere sul proprio corpo. Oggi più che mai voglio, nel mio piccolo, rivendicare un diritto che mi appartiene e per cui, nel 1978, più del 68% del popolo italiano ha votato per rendere legale. Oggi più che mai voglio parlare a mio nome, perché io, di quel “noi” non faccio parte. Oggi più che mai voglio esprimere il mio rammarico per le 47mila donne che muoiono ogni anno per pratiche di aborto non adeguate. Come donna e come essere umano sento la necessità di parlare di questo tema e di invitare tutt* voi a riflettere insieme come individui e società.

Scrivere di qualcosa che ci appassiona, coinvolge e commuove è spesso un’arma a doppio taglio: si hanno un sacco di idee, di spunti e un generale sovraffollamento in testa tale per cui, spesso, davanti agli occhi, rimane solo un foglio bianco. 

Quando scrivo o discuto di argomenti che mi stanno a cuore, difficilmente riesco ad essere imparziale e a non far trasparire le forti emozioni che provo, siano queste positive o negative; perciò mi scuso già in anticipo, se, quello che andrete a leggere non sarà addolcito da frasi neutre e di contesto.

C’è una legge che per me è davvero molto importante: la 194 del 1978, che, per chi non lo sapesse, è la legge che garantisce a tutte le donne il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) tramite una procedura sicura ed efficace. 

L’IVG può essere richiesta entro i primi 90 giorni di gestazione di gravidanza (ossia il primo trimestre) e, a seconda della casistica, è attuabile tramite terapia farmacologica, che consiste nella somministrazione di due farmaci, o attraverso una terapia chirurgica in anestesia locale o generale.

Entrambe queste procedure devono essere praticate da un medico, in un centro ospedaliero.

Ma dove sorge il problema?

Sebbene la legge 194 garantisca il diritto all’IVG, essa stessa ne limita l’esercizio, esonerando dalla pratica, il personale sanitario che si dichiari obiettore di coscienza. L’articolo 9 di questa stessa legge precisa, infatti, che “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure […] agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.”

In Italia, stando a ciò che è riportato nella Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/1978, redatta nel 2018, la quota di obiezione di coscienza risulta molto elevata, specialmente tra i ginecologi (69,0% rispetto al 68,4% dell’anno 2017), ma anche tra gli anestesisti, di cui quasi la metà si dichiara obiettore (46,3% rispetto al 45,6% dell’anno precedente).

Quindi se in un ospedale ci sono 10 ginecologi, solo 3 di questi, mediamente, sono disponibili a svolgere la procedura dell’IVG.

Dico mediamente, perché in cinque regioni e nella provincia autonoma di Bolzano la percentuale arriva, e in alcuni casi supera, l’80%, fino ad arrivare al 92,3 per cento di ginecologi obiettori del Molise e al 96,9% in Basilicata.

Ciò significa che, nonostante l’aborto sia un diritto da più di 40 anni, non è sempre garantito in tutte le strutture ospedaliere del nostro Paese.

Ma che cos’è l’obiezione di coscienza?

L’obiezione di coscienza è il rifiuto di obbedienza ad una legge o ad un comando considerato in contrasto con i propri principi e le proprie convinzioni personali.

Questa nasce in risposta alla coscrizione obbligatoria e ha permesso di trovare, a chi ripudiava la guerra, un’alternativa ad essa tramite il servizio civile. L’obiezione può essere applicata in diversi ambiti e contesti ed è un diritto che tutela il singolo ad agire secondo i propri principi morali e religiosi. L’obiezione di coscienza in sé non è un problema, ma lo diventa se, per garantire questo diritto, si limita pesantemente l’esercizio di un altro diritto fondamentale.

In un articolo pubblicato nel 2015 dall’antropologa Silvia De Zordo, si approfondiscono i motivi che spingono medici (in questa ricerca l’analisi è limitata solo ai medici) ad appellarsi alla 194 e dichiararsi quindi obiettori di coscienza. 

La sua ricerca è stata effettuata nei reparti di ginecologia-ostetricia di 4 ospedali pubblici, 2 di Milano e 2 di Roma.

Tra le motivazioni è ovviamente presente, quella mossa da medici religiosi, convinti che il feto sia una forma di vita e che quindi, visto il loro credo, non sia giusto porne fine tramite una qualsiasi procedura di IVG.

La maggioranza degli obiettori, però, non considera l’aborto un crimine o un peccato, ma un problema sociale e di salute pubblica.

Molti temono la stigmatizzazione, la discriminazione da parte dei colleghi obiettori, soprattutto se insigniti di una carica importante (come il ruolo del primario), altri percepiscono l’IVG come il “lavoro sporco”, che non solo non è interessante dal punto di vista tecnico (in quanto si tratta di una procedura clinicamente molto semplice), ma non è nemmeno gratificante dal punto di vista monetario, in quanto questa procedura non viene offerta intramoenia, ossia praticata in libera professione, dietro pagamento.

Fa riflettere, però, il caso di alcuni ginecologi obiettori che lavorano in ospedali pubblici e non praticano IVG e che lo fanno invece nelle cliniche private e a pagamento. Questo ci fa davvero capire che, spesso, l’obiezione non ha davvero nulla a che fare con la coscienza.

Tutte queste considerazioni ci guidano ad un’unica e fondamentale domanda: questa legge garantisce davvero un diritto?

Immaginiamo per un attimo di essere una donna che scopre di essere incinta, e immaginiamo, per un motivo qualsiasi, di non voler proseguire con la gravidanza.

Siamo incinta da poco ed entro il termine dei 90 giorni per richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza.

Andiamo in ospedale, facciamo tutti i controlli richiesti, che accertino la gravidanza in corso, e chiediamo l’IVG.

Se siamo fortunate, nel nostro ospedale, c’è almeno un medico disponibile, se, invece, viviamo in Basilicata, purtroppo difficilmente troveremo un medico disponibile ad aiutarci.

Ma, mettiamo il caso che questo medico non obiettore ci sia, ma che abbia una lista d’attesa lunghissima, perchè è l’unico, magari non solo di quell’ospedale, ma degli ospedali della provincia, quanto dovremmo aspettare per il nostro intervento? 

A volte i tempi di attesa, superano il termine massimo per richiedere l’aborto, con conseguenze che noi tutti possiamo immaginare.

L’obiezione di coscienza è un diritto ed è giusto rispettarlo, ma a che prezzo?

Senza dubbio l’aborto è un tema molto delicato e ognuno è libero di avere la propria idea e di seguire i dettami della propria religione, ma come ci possono essere così tanti obiettori, se il numero di cattolici praticanti cala? Probabilmente esistono sempre più “falsi obiettori” che scelgono la via dell’obiezione per ricevere promozioni, fare interventi più complessi e lavorare nei grandi e prestigiosi centri privati d’eccellenza che, guarda caso, sono cattolici e prevedono l’assunzione di soli medici obiettori.

È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda. Se in un ospedale ci sono 3 medici non obiettori e 7 obiettori, tutte le IVG saranno praticate dai non obiettori che non avranno la possibilità di seguire e imparare a fare interventi più complessi e continuare la propria carriera, quindi ad un certo punto, stanchi di questa situazione, da 3 diventeranno 2 e così via, fino a che non ne resterà nessuno. Purtroppo non è una distopia, in Basilicata è la realtà. Che il 97% dei medici sia obiettore è una sconfitta, è un diritto che non viene garantito, una violazione, un tradimento. È uno Stato che non riesce a mettere in pratica una legge, dei medici che scelgono la carriera, i soldi, la fama, al posto della cura del paziente e del suo benessere, non solo fisico, ma anche mentale.

Tutto questo mi fa riflettere sulla scelta professionale di questi medici. L’interruzione volontaria di gravidanza è il secondo intervento più praticato nell’ambito ginecologico, se non lo si vuol fare, tanto vale scegliere un’altra specializzazione no?

Il diritto all’obiezione per motivi di coscienza o seri motivi religiosi non è sbagliato e nessuno vuole metterlo a repentaglio, ma andrebbe garantita qualche tutela in più per le donne che necessitino di una IVG.

In Italia la situazione è a dir poco allarmante e spaventosa, per ben due volte siamo stati sanzionati dal Consiglio d’Europa a causa delle notevoli difficoltà che le pazienti riscontrano nell’accesso ai servizi per l’IVG.

Si sottovaluta l’importanza di questo diritto, la garanzia di una procedura sicura, dello stato di salute psicofisico di chi lo richiede e forse si è dimenticato ciò che accadeva prima della 194: le mammane, le pratiche clandestine, le intossicazioni da farmaci e le morti, le tantissime morti, di coloro che venivano operate da “macellai” in cerca di denaro.

Purtroppo questi fatti non risalgono solo a più di 40 anni fa; meno di un mese fa, una donna polacca è morta di sepsi sul tavolo operatorio, perchè i medici non sono intervenuti per farle abortire un feto gravemente malformato e già morto in utero. 

In Polonia, lo scorso anno, una legge della Corte di Cassazione ha stabilito l’incostituzionalità dell’aborto per malformazioni fetali gravi.

In Alabama, nel maggio 2019, si è firmata una durissima legge anti-aborto, che fortunatamente è stata bloccata nello stesso ottobre.

Queste onde anti-abortiste mi fanno tremare, come donna e come essere umano. Non voglio che sul mio corpo decida qualcuno che non sono io. È il mio corpo e la mia scelta.

Voglio avere il diritto di scegliere. Forse non avrò mai bisogno di un’interruzione di gravidanza, ma voglio che tutte le donne del mondo abbiano la possibilità di decidere e di ricevere un trattamento sicuro e umano.

Non possiamo conoscere ogni singola situazione e storia che vive una donna che decide di interrompere la sua gravidanza, non possiamo permetterci di giudicare la sua scelta e non abbiamo alcun diritto di scegliere per lei, né come esseri umani, né come medici.

Non possono più esistere ospedali con il 100% di ginecologi obiettori, ma nemmeno il 70%!

Una buona soluzione sarebbe, come azienda ospedaliera (ma anche come stato), garantire la presenza di almeno il 50% dei medici non obiettori, così da far valere il principio di universalità dell’assistenza e uguaglianza su cui è stato fondato il Servizio Sanitario Nazionale, sempre, tra l’altro, nel 1978.

Per cambiare questa situazione drammatica è necessaria tanta informazione, sensibilizzazione e una limitazione, non ai nostri corpi, bensì a chi sceglie di essere un obiettore per motivi molto lontani dalla coscienza. L’obiezione di coscienza per l’aborto non offre una valida alternativa ad esso, non offre una scelta, ma viola un diritto.

L’aborto non può più essere un taboo, uno stigma. L’aborto non può più essere ridicolizzato e  reso opinabile in un reality televisivo da un conduttore misogino. L’aborto è un diritto fondamentale, per cui migliaia di donne hanno lottato e ancora lottano, e che di donne, ne ha salvate tante.

Immagine di Gayatri Malhotra on Unsplash

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