Circa 100.000/50.000 anni fa, l’umanità cambiò irreversibilmente. In quel periodo nacque uno degli strumenti più potenti a nostra disposizione: il linguaggio.
di Matteo Zamuner
Come i ricercatori di linguistica e biologia hanno scoperto, anche gli animali possiedono dei linguaggi propri, ma questi hanno importanti differenze con quello tipico dell’essere umano. Tra tutte le peculiarità del nostro linguaggio, ne considereremo tre: la ricorsività (ovvero la capacità di produrre infiniti messaggi e, potenzialmente, un messaggio infinito, utilizzando un numero ridotto di elementi fonetici o grafici), l’onnipotenza semantica (ossia la possibilità di discutere di eventi passati, presenti, futuri, mai avvenuti, o di argomenti astratti, inventati) e il metalinguaggio (cioè l’utilizzo della lingua per discutere della lingua stessa, come fanno per esempio i dizionari e le grammatiche scolastiche).
Grazie a queste tre proprietà, il linguaggio umano ha permesso alla specie Homo sapiens di sopravvivere, anche a discapito di altre specie di Homo molto “competitive”. L’Homo neanderthalensis, che si era già adattato all’ambiente freddo dell’Europa, secondo molti studiosi si è estinto in parte perché mescolatosi con Homo sapiens, in parte perché sterminato dall’avanzata dei suoi “cugini” africani. L’importanza di quest’ultimo punto, sostenuta dall’ingente quantità di ritrovamenti archeologici che testimoniano vere e proprie carneficine di uomini di Neanderthal, ci induce a credere che il linguaggio umano abbia permesso ai nostri antenati di organizzarsi meglio militarmente e civilmente, formando gruppi sociali più numerosi ed eserciti conseguentemente più grandi, nonché più efficienti. In Sapiens, da animali a dei, Yuval Noah Harari (storico, saggista e professore all’Università Ebraica di Gerusalemme) chiama “Rivoluzione cognitiva” quella trasformazione cruciale che permise a sparuti clan familiari di Homo sapiens di raggrupparsi in villaggi, popoli e civiltà.

Come è possibile che l’uso del linguaggio abbia comportato un aumento della socialità dei sapiens?Lo straordinario impatto del linguaggio umano si deve principalmente all’onnipotenza semantica. La capacità di disquisire sull’esistenza delle divinità, di raccontare miti e leggende, persino la facoltà di mentire, si debbono a questa fondamentale caratteristica di tutte le lingue. E fu proprio la creazione di immaginari religiosi, mitologici e culturali comuni che accorciò le distanze tra piccoli raggruppamenti di sapiens, che prima non avevano il materiale sufficiente per comprendersi, interagire pacificamente, relazionarsi senza aver trascorso parecchie ore assieme. La cultura risultò un bagaglio di esperienze comuni, cui ricorrere per riconoscere gli sconosciuti come parte del “noi”, del proprio gruppo di appartenenza. Tuttavia, non basta formare un ampio gruppo di individui per avere un popolo, una civiltà, ma è necessario che il bagaglio culturale comune venga tramandato. Nascono così le tradizioni.
Il folclore non viene ereditato dalle nuove generazioni così come era stato concepito dai predecessori, ma subisce delle modifiche. Queste possono essere accidentali o ponderate. Così, nel corso degli anni, dei decenni, dei secoli o dei millenni, una tradizione cambia, si evolve, si adatta. Per esempio, un passo del Vangelo nel Medioevo veniva interpretato nella sua forma e nel suo contenuto in modo radicalmente diverso da oggi. Lo stesso rito religioso della messa è mutato nel tempo. Questi sono esempi di innovazioni che, sebbene dotate di sfumature che le diversificano l’una dall’altra, si sono innestate in una tradizione per continuarla, mantenerla attuale, viva. Ed ogni innovazione parte dal contatto, sia esso tra gruppi umani differenti, oppure tra individui dotati di grande sensibilità e la società. Perciò, la tradizione e l’innovazione sono entrambi il frutto di un incontro, tra idee, tra sentimenti e pensieri, tra un uomo ed un altro.
Questo confronto sfrutta al meglio tutte le potenzialità del linguaggio umano, perché la sua funzione sociale viene mantenuta e sia l’onnipotenza semantica sia la ricorsività non vengono sprecate. Chi comunica, innovando, e desidera cancellare ogni tradizione, desidera scartare il migliore dei frutti del linguaggio: la convivenza civile. Chi sostiene che sia necessario tornare a tradizioni vetuste, che sia necessario limitare o stroncare le innovazioni, sta suggerendo di sprecare quelle che sono delle risorse uniche, proprie solo della nostra specie. È strano notare che queste due ideologie vadano così di moda in un periodo storico in cui lo spreco e lo scarto dovrebbero essere contenuti. A chiunque abbia una di queste mentalità, suggerisco di usufruire della nostra capacità di ragionamento metalinguistico. Gli sarà presto evidente che una società migliore, un futuro migliore, può essere costruito soltanto sulla base di una comunicazione migliore, perché noi siamo il linguaggio che abbiamo.