Cronache da stazione

di Tiziana Dassie

“Benvenuti sul treno 1713. Il treno fermerà a tutte le stazioni possibili e anche a quelle meno probabili. Arriverà a Padova ad un orario ancora da definire”. D’altra parte, si sa, noi universitari non abbiamo fretta. Al contrario, amiamo aspettare in stazione all’alba, avvolti nella nebbia, assonnati e sommersi da zaini e valigie. Così come amiamo farlo alla sera, con temperature percepite che si avvicinano a quelle artiche e che fanno salire, oltre che qualche bronchite, la disperata voglia di casa.

Dato che non abbiamo orari, i treni se la possono prendere comoda. Voglio dire, non è che se c’è scritto che si arriverà a destinazione alle 18.30, possiamo pretendere di arrivare alla mezza precisa. Anzi, secondo una stima frutto di lunghe esperienze il treno arriverà a destinazione almeno 10 minuti dopo, con la coincidenza appena partita. Per le partenze il discorso è ovviamente diverso. In quel caso non si transige: non si può certo aspettare i ritardatari. Se il treno parte alla mezza, vuol dire che alla mezza, sudato e col fiatone per aver fatto le scale di corsa (con valigia da 30 chili, zaino e borsa) te lo vedi sfrecciare davanti, con tanto di controllori che ti salutano… se non ti hanno appena chiuso la porta in faccia. In realtà basterebbe che premessero quel benedetto pulsante per riaprire le porte, tanto il treno è ancora lì fermo, invece stanno immobili a fissarti con sguardi compassionevoli, partecipi del tuo dolore, tanto che si vede che farebbero di tutto per aiutarti, tranne ovviamente allungare la mano per schiacciare quel pulsante.

Se per caso dovessi riuscire a salire sul treno che ti sei programmato (sempre che quel treno esista, perché ogni tanto decidono di non partire), dicevo, se sei così fortunato da salire su quel benedetto treno ti aspettano mille sorprese. Potresti anche trovare lo spazio per sederti, il che rende subito più bella la tua giornata. Se è estate e fuori fa caldo, c’è addirittura l’aria condizionata per rinfrescare l’ambiente, e assicuro che funziona, tanto che una settimana dopo la gola ne sente ancora gli effetti.

Ci sono invece giornate in cui sembra che sia il mondo intero a dover partire con te. In quei casi spesso accade che il treno, per ignoti motivi, decida di cambiare il binario e allora si assiste a una vera e propria migrazione di massa, con gente che corre, spintona e si inciampa sulla valigia di quello davanti causando ulteriori ingorghi. Una volta acquietata la situazione e avvistato il treno all’orizzonte, si può osservare le persone che, lentamente, con finta noncuranza, e, soprattutto dopo che è risuonato nell’aria l’avviso “allontanarsi dalla linea gialla”,  si avvicinano al bordo del marciapiede. Sono i viaggi più simpatici quelli col treno pieno, tanto più considerando che ogni persona con la valigia occupa il doppio dello spazio. Nessun problema, i treni sono preparati anche a questo: hanno portabagagli lungo tutta la carrozza. L’unico dettaglio è che chi li ha progettati era evidentemente convinto che le nostre valigie fossero delle dimensioni di una borsetta. Come conseguenza si crea un avvincente percorso a ostacoli lungo il corridoio e, a peggiorare la situazione, la gente non se ne sta seduta tranquilla al proprio posto, perché l’urgenza di andare ai servizi si sente, quindi c’è un viavai ininterrotto che ti costringe a spalmarti praticamente addosso alle persone sedute per liberare il passaggio. Spesso la scelta migliore è restare nello spazio davanti alle uscite, dove c’è talmente tanta gente che non fai nemmeno fatica a stare in piedi, perché tanto sei comodamente sostenuto dagli altri.

La cosa meravigliosa dei viaggi in treno sono però le persone, uno spettacolo eterogeneo che scorre brulicante davanti agli occhi (a volte più che scorrere sfreccia). In treno c’è una sorta di complicità con gli altri viaggiatori, si condividono attese (di treni in ritardo), speranze (di prendere la coincidenza), gioie e dolori (vedi il controllore compassionevole di cui sopra). Ci si sente insomma tutti più vicini… a parte con quel gruppetto che alle 6.30 di mattina sale nella tua carrozza portando con sé una ventata di buonumore che non si sa dove l’abbia trovato dato che il sole deve ancora sorgere e che comincia a ridere e schiamazzare con poco riguardo per chi sta ancora dormendo. I peggiori però sono quelli che si bloccano all’improvviso per guardare il tabellone degli orari. Il rischio di collisione è altissimo, soprattutto se nel frattempo c’è chi corre disperato per non perdere quella famosa coincidenza. In treno ci sono persone di tutti i tipi: chi dorme, chi studia (probabilmente pendolari), chi litiga al telefono (che poi, da maleducata, abbassa improvvisamente la voce facendoti perdere il discorso), chi guarda malinconicamente le gocce sul finestrino. Ci sono distinti signori in giacca e cravatta, nonni che vanno in gita (lei con un bel cappellino a fiori), ragazzi concentrati nella lettura, una ragazzina che si è appena resa conto di aver preso il treno opposto, scolaresche gioiose che ti fanno venir voglia di scendere alla prima fermata disponibile, una signora che borbotta da sola, gente che inveisce contro i ritardi e persone di cui ti innamori e che purtroppo non rivedrai mai più.

Se è un’esperienza così imprevedibile e in fondo un’avventura ogni volta, che motivo abbiamo di lamentarci?

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