I MITI DA SFATARE SUL MEDIOEVO IN 10 PAROLE

di Federico Olivieri

1. SPADA

Se da una parte la spada è il simbolo del Medioevo (insieme al cavaliere in armatura che la brandisce), dall’altra raccoglie il più grande numero di luoghi comuni che affliggono questo periodo storico. Alcuni di questi luoghi comuni sono persino contraddittori: difatti, in molti libri e film la spada è così affilata che ci si può ferire anche solo toccandone il filo, ma il sentire comune, specie su internet, la considera addirittura smussata, decisamente meno tagliente rispetto al corrispettivo giapponese (la katana). Come al solito la verità sta nel mezzo: della spada medievale sopravvivono pochi esemplari e la tecnica di produzione originale è andata perduta (al contrario della katana, forgiata ancor oggi con metodi tradizionali), ma numerose rappresentazioni di scene di guerra (affreschi, dipinti, miniature) dimostrano, con dovizia di cruenti particolari, l’efficacia di quest’arma; se usata con la giusta forza poteva penetrare la carne, tagliare gli arti e addirittura trapassare elmi e cotte di maglia. Era dunque considerabile affilata, specie se sottoposta alla dovuta manutenzione, ma di certo non tanto quanto si vede in molte opere di intrattenimento: infatti esisteva una tecnica particolare, chiamata in inglese “half-swording”, che prevedeva di afferrare la lama della spada con la mano libera, in modo da poter dirigere la punta con più precisione nelle fessure dell’armatura nemica. Una presa ferma, anche senza l’ausilio di guanti o altre protezioni, garantiva protezione da qualunque taglio.

Altro luogo comune è il peso: in molte istanze la spada viene mostrata così pesante che solo persone abbastanza forti riescono a sollevarla e a usarla efficacemente. In realtà, una normale spada lunga (un metro e mezzo) pesava circa 1,5 chili (le spade più massicce arrivano sino ad un massimo di 6 kg). Chiunque, volendo, poteva sollevare una spada e brandirla; naturalmente, usarla per molto tempo richiedeva comunque una forza notevole (oltre che la tecnica necessaria).

2. TORCIA

La buona vecchia torcia, onnipresente in quasi ogni libro, film o videogioco di ambientazione medievale o fantasy, è quasi un falso storico, per come viene trattata. Si potrebbe parlare molto a lungo di tutti i lati negativi del suo utilizzo, quindi mi limiterò ad un veloce elenco:

  • Luce troppo forte: una fiamma di tali dimensioni in un ambiente buio, se tenuta davanti a sé come fanno i protagonisti di molti film, non farebbe altro che accecare il portatore.
  • Pericolo di ustioni: la fiamma è grande, libera e rilascia numerose scintille.
  • Durata limitata: il materiale avvolto attorno al bastone (di solito un panno imbevuto di liquido infiammabile) brucia troppo velocemente.
  • Fumo: rilascia un odore acre e asfissiante, terribile in ambienti chiusi.

Le torce sono inutili anche come illuminazione fissa, ad esempio all’interno di un castello: dovrebbero essere sostituite in continuazione e sarebbero quindi molto costose; inoltre, manterrebbero tutte le caratteristiche negative elencate sopra.

Le fonti di illuminazione privilegiate erano invece le candele, di cera o di sego, e le lampade ad olio.

Meno odorose, più convenienti e più facili da utilizzare, le candele fornivano un’illuminazione discreta (soprattutto se riunite in candelabri o lampadari) e venivano anche usate per misurare il passare del tempo durante la notte.

3. BATTAGLIE

Le grandi battaglie campali a cui ci hanno abituato i film di Hollywood erano in realtà cosa ben rara nel Medioevo: avvenivano solamente o per il fortuito incontro di due eserciti avversari, o per trappole e imboscate, o nel caso in cui entrambe le parti fossero ragionevolmente sicure di poter vincere. Le battaglie campali erano infatti molto rischiose e dispendiose in termini di vite umane, anche se non così tanto come potremmo pensare: infatti, 5, 10 o 15 cavalieri caduti in una battaglia erano già considerabili “gravi perdite”. Questo perché anche la natura degli scontri era diversa: erano in genere meno caotici di quelli che siamo abituati a vedere e terminavano molto prima del completo annientamento di una delle parti. I massacri erano poco frequenti, anche se naturalmente facevano notizia e restavano più facilmente impressi nell’immaginario collettivo. Riguardo ai numeri, c’è anche da dire che mobilitare grandi eserciti (ad esempio, qualche migliaio di uomini) era allora quasi impossibile.

La modalità di battaglia più diffusa era dunque l’assedio, che nella maggior parte dei casi vedeva vincitore l’aggressore; la via preferita per arrivare alla vittoria era quella di affamare l’avversario costringendolo alla resa.

4. COMBATTIMENTO

Chiunque abbia visto un film fantasy lo sa: al protagonista basta sferrare un colpo di striscio con la spada per atterrare i suoi avversari, a meno che non stia affrontando il villain: in quel caso lo scontro diventa decisamente più complesso e drammatico. Naturalmente nel Medioevo non era così: gli scontri richiedevano, oltre alla prontezza di riflessi, anche una certa tecnica, e si concludevano quando entrambi i contendenti avevano accusato numerose ferite. Dopotutto, un taglio sul torace non uccide istantaneamente un uomo: almeno per un po’ sarà ancora vivo e vegeto, e cercherà di fare del suo meglio per sopprimere l’avversario. Un buon metodo per assicurarsi di avere successo era, allora come oggi, quello di mirare alla testa.

5. ARMATURA

L’armatura, più che soffrire di molti luoghi comuni, è vittima di un coacervo di idee confusionarie.

Per fare chiarezza definitivamente, è meglio elencare qui di seguito i caratteri dell’armatura tipo: durante buona parte del Medioevo, l’armatura più diffusa è quella in cotta di maglia (ovvero costituita da anelli metallici), spesso imbottita con strati di tessuto all’interno o all’esterno (“gambesone”). Non esistevano armature interamente in cuoio, come a volte vengono presentate in alcuni videogiochi: il cuoio veniva usato come rinforzo per le imbottiture ed era il materiale utilizzato per foderi, guanti e stivali. Le armature a piastre metalliche, vero e proprio simbolo del cavaliere, compaiono invece solo nel tardo Medioevo. Molto spesso tali armature vengono rappresentate come delle scatole di acciaio in cui muoversi è difficilissimo: nel migliore dei casi si possono effettuare solo movimenti lenti e impacciati. Ebbene, anche in questo caso la realtà è diversa: pur essendo pesanti (dai 20 ai 30 kg), tali armature sono comunque più leggere dell’equipaggiamento di un moderno pompiere (circa 40 kg). I cavalieri in armatura completa, come dimostrato da Daniel Jaquet nel suo “Moving in Harness” (ricostruzione dell’allenamento di un vero cavaliere dell’epoca), potevano agevolmente saltare, correre, piegarsi, rotolare e addirittura salire a cavallo senza alcun tipo di assistenza.

Se ne volete una prova, basta cercare “Can you move in armour?” su Youtube.

6. ARCO

A volte può esservi capitato di vedere qualche personaggio di una serie TV o di un film tendere la corda di un arco, pronto a scoccare la freccia, e rimanere in tale posizione per numerosi secondi (a volte il tempo necessario per scambiare qualche battuta); decisamente poco realistico, se si tiene conto dell’effettivo carico di trazione di un arco medievale. Si va, infatti, dalle 100 libbre in su, corrispondenti a circa 45 kg: un peso decisamente notevole da sostenere con una sola mano, magari mentre si sta mirando al bersaglio. Si può dire che tener teso un arco lungo inglese del ‘300 per più di 5 secondi sia già di per sé una grande impresa (per avere un metro di paragone, si tenga conto che la trazione degli archi da competizione moderni va dalle 40 libbre ad un massimo di 80).

Per proprietà transitiva, l’arco assume anche i luoghi comuni legati alle frecce: prendiamo ad esempio l’amatissima “freccia infuocata”, il cui utilizzo sembra larghissimo già dai tempi dell’Impero Romano (si veda Il Gladiatore per credere). Beh, non esistevano. L’aggiunta di materiale ignifugo vicino alla punta avrebbe sbilanciato la freccia, diminuendone drasticamente la gittata e l’efficacia complessiva. Se anche fosse riuscita a raggiungere la destinazione, le fiamme si sarebbero estinte già al momento del lancio, a causa dell’attrito dell’aria (la velocità media di una freccia si aggira tra i 170 e i 200 chilometri orari), annullando così qualunque utilità dell’operazione. Senza contare che il massimo dell’effetto che una freccia infuocata poteva avere su un edificio di legno era quello di bruciacchiarlo un pochino, per poi spegnersi (a meno che non cadesse fortunosamente su della paglia).

Infine, dobbiamo purtroppo dimenticarci anche degli “arcieri mitraglia” a là Legolas, dal momento che la cadenza di tiro era di circa 6 frecce al minuto.

7. ALIMENTAZIONE

Di solito pensiamo al Medioevo come ad un periodo in cui gli strati sociali più bassi erano ridotti alla fame, le carestie erano numerose ed il cibo scarseggiava sempre. In realtà la media delle calorie assunte da un uomo medievale non è affatto dissimile da quella di un uomo moderno, corrispondente a 3000 calorie al giorno; in periodi normali, dunque, il cibo c’era eccome. Il problema è che dal 50 al 70% di esso era costituito da cereali (grano, nella fattispecie). La scarsità di legumi e frutta portava a carenze vitaminiche, mentre i pochi lipidi e la sovrabbondanza di glicidi causavano un’insufficienza nella nutrizione anche quando l’apporto calorico era accettabile. Inoltre l’intera popolazione dipendeva strettamente dal raccolto di grano: una qualsiasi variazione legata al clima o alla gestione delle scorte rischiava di generare carestie in un tempo brevissimo.

8. IGIENE

Altra sempreverde immagine del Medioevo è quella del paesano sporco, coi capelli unti e meno denti che speranza di vita. Ma udite udite, la gente nel Medioevo si lavava! Di certo non frequentemente come noi, ma forse almeno una volta alla settimana (e sicuramente non meno di una volta al mese). Le modalità con cui ciò avveniva potrebbero sorprenderci: chi non poteva permettersi di avere una vasca personale (sempre presente nelle case dei ricchi) si recava ai bagni pubblici, vestigia delle terme romane. Qui poteva trovare numerose vasche da affittare, e non era raro che addirittura pranzasse facendo il bagno, spesso in compagnia della propria dolce metà; difatti non c’era distinzione tra i sessi, e per questo in alcune occasioni i bagni pubblici vennero ritenuti luoghi di esercizio della prostituzione. La Chiesa, pur mal sopportando tale situazione, poteva fare ben poco per contrastarla.

Fu solo agli inizi del ‘600 che l’abitudine di recarsi ai bagni pubblici venne meno, poiché la diffusione di malattie come la sifilide e altre epidemie resero tali luoghi pericolosi da frequentare.

Un ulteriore mito da sfatare riguarda l’igiene dentale: dal momento che lo zucchero non era ancora diffuso in Occidente (e sostanze dolci come il miele erano rare e costose), le carie erano pressoché sconosciute; inoltre, ci si prendeva cura dei denti strofinandoli con pagliuzze o altri materiali (a mo’ di stuzzicadenti).

9. FAMIGLIA

Le famiglie con tanti figli sono un concetto decisamente abusato da qualunque forma di intrattenimento, soprattutto considerando che nel Medioevo erano molto rare: la media del numero di figli si attestava attorno ai 2/3 per coppia. Niente di così impressionante, insomma. Il motivo principale era l’elevata mortalità infantile: circa un terzo dei bambini moriva entro i 5 anni di vita (il 10% moriva entro i primi mesi). In ogni caso, nonostante le volontà del clero, i metodi contraccettivi erano diffusi e praticati.

Le famiglie con 10 o più figli (al di fuori degli ambienti benestanti) si diffusero in corrispondenza delle prime due Rivoluzioni Industriali, periodo durante il quale il boom demografico fece raddoppiare la popolazione mondiale.

10. RELIGIONE

Siamo abituati a pensare al Medioevo come ad un periodo storico in cui il Cristianesimo era conosciuto e praticato in tutta Europa, ma non bisogna dimenticarsi di come fino all’anno 1000 molte parti del Vecchio Continente erano ancora pagane e oggetto di instancabili tentativi di conversione. Tale conversione dei pagani non si esercitava però sotto forma di una repressiva caccia alle streghe (fenomeno successivo di qualche secolo) o di una guerra volta ad estirpare le eresie, ma come una lenta e graduale sovrapposizione dei valori e dei comandamenti cristiani sulle tradizioni religiose antecedenti. Divinità e figure mitiche (come l’eroe greco Ippolito citato da J. G. Frazer) vennero riproposti dal cristianesimo in veste di santi, per non strappare bruscamente alle popolazioni convertite il loro patrimonio culturale rischiando inutili conflitti. Certo, un processo così lento e graduale generò a volte qualche imbarazzante confusione: è il caso di “San Guiniforte”, un cosiddetto “santo spontaneo”. In una comunità della Francia centrale i dogmi del cristianesimo vennero mal interpretati, e ciò fece in modo che i contadini cominciassero a venerare come santo un levriero che aveva salvato il figlio del padrone dal morso di un serpente. Il levriero era poi stato abbattuto dal padrone stesso, divenendo così una sorta di martire agli occhi della popolazione: al cospetto della sua tomba si portavano i figli malati, che poi venivano gettati nel fiume (!) nella speranza di guarirli con la benedizione del “santo”. L’intervento di un inquisitore di passaggio, che distrusse i resti del levriero insieme alla tomba, non riuscì ad estirpare definitivamente il culto di San Guiniforte: se ne hanno ancora testimonianze all’inizio del Novecento.

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